Il settore della ristorazione è uno dei più dinamici e innovativi, questo è indubbio.
Chi lavora in cucina è sempre alla ricerca di nuovi piatti per mettere alla prova le proprie capacità e per offrire ai clienti nuove esperienze.
Dal canto loro i gestori sanno che bisogna sempre cercare di accontentare le richieste di chi entra nel proprio locale, e andare incontro alle diverse esigenze, legate spesso ad allergie o intolleranze alimentari. Ma soprattutto sanno che è necessario rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità e sulle tendenze del momento. Chi lavora nella ristorazione deve continuamente rinnovarsi se vuole rimanere sul mercato, senza però dimenticare le nostre tradizioni culinarie. In tal senso, ultimamente sta attraversando un momento di grande richiesta una pianta che fa parte della tradizione ma che appunto viene utilizzata in molti modi diversi e innovativi: il finocchietto selvatico.
Scopriamo allora le sue caratteristiche, le sue proprietà e virtù, e ovviamente il suo utilizzo in cucina.
Cos’è il finocchietto selvatico
Appartenente alla famiglia delle Apiaceae (chiamate più comunemente «Ombrellifere»), il finocchietto selvatico (nome scientifico «Foeniculum Vulgare Miller») è stato utilizzato a livello gastronomico nella nostra penisola fin dall’antichità. Ancora oggi è presente in molte ricette e viene utilizzato (soprattutto nell’Italia centrale e meridionale) per aromatizzare piatti a base di carne e pesce, ma anche per condire primi piatti e prodotti da forno o di pasticceria.
Ha un profumo molto intenso e aromatico, veramente inconfondibile, anche se a un primo assaggio, potrebbe sembrare uguale all’aneto. È bene chiarire subito che si tratta di due piante diverse: l’aneto viene infatti utilizzato maggiormente nelle cucine dell’Europa settentrionale e orientale, zone nelle quali è molto più diffuso. Il finocchietto selvatico è invece una pianta perenne aromatica rustica, con foglie molto sottili e colorate di un caratteristico verde acceso, diffusa principalmente nelle zone mediterranee, e quindi anche sulle nostre coste e in zone con un terreno arido che ne favorisce la crescita. È facile trovarlo in zone soleggiate o di mezz’ombra, lungo cigli di sentieri, campi o muri, o nei prati incolti; se ne può trovare anche in terreni calcarei, sassosi, o lungo pendii rocciosi. Se infatti il finocchietto selvatico è diffuso maggiormente in pianura, cresce anche in montagna, seppur sotto i mille metri di quota.
I fiori, di colore giallo e molto profumati, creano delle infiorescenze dalla forma di ombrello, da cui nascono dei fruttimolto piccolissimi verde-grigi, che vengono raccolti nell’ultima fase della stagione estiva, dalla metà di agosto a settembre inoltrato, quando il fiore si apre. La pianta cresce spontaneamente, ed è facile trovarla sui cigli di campi o sentieri, in particolare nelle zone in cui è diffusa la macchia mediterranea. È possibile però anche coltivarla nel proprio orto, raccogliendo i semi in autunno, solo dopo che il fiore ha completato la sua trasformazione in frutto.
Il finocchietto selvatico: non solo gusto e aroma
Il finocchietto selvatico non è solo una pianta che dona aroma, sapore e personalità ai piatti che presentiamo ai nostri clienti. Spesso lo si utilizza più per i benefici sull’organismo che per condire i piatti. Pensiamo per esempio alla grande varietà di tisane che si sono diffuse negli ultimi tempi, segno di una nuova tendenza nelle abitudini degli italiani: molte di quelle presenti sul mercato sono proprio a base di finocchietto selvatico, del quale vengono utilizzate in particolare le foglie e i semi, creando bevande dall’alta capacità depurativa e digestiva.
La pianta è infatti ricca di proprietà, di cui si è a conoscenza da centinaia di anni, se non di più. Si pensi che nel Medioevo veniva addirittura considerata un’erba magica, sfruttata sia per risolvere problemi di salute che per scacciare gli spiriti avversi. Oggi sappiamo bene che il finocchietto selvatico è ricco di principi attivi, in particolare l’anetolo, un fitoestrogeno con qualità che impattano positivamente sul nostro corpo: oltre a favorire la digestione, avrebbe effetti anche antinfiammatori, antispasmodici e diuretici. Inoltre viene utilizzato per curare i sintomi di aerofagia, stipsi, gonfiori e problemi intestinali di vario tipo. Sembrerebbe inoltre che aiuterebbe la formazione di latte nel seno materno durante la fase di allattamento.
Il finocchietto selvatico nella ristorazione
Chi lavora nel campo della ristorazione deve poi tenere in considerazione due aspetti fondamentali. Il primo è che del finocchietto selvatico non si butta via nulla: sono commestibili sia le foglie, sia i fiori che i frutti. Tuttavia, per gustare al meglio le foglie in tutta la loro essenza fortemente aromatica, il periodo più adatto è quello che va dalla primavera alla fine dell’estate. Le foglie infatti tendono a perdere rapidamente il loro aroma, ed è difficile che si possano essiccare.
Se invece si vogliono utilizzare i frutti rispettando il loro ciclo naturale, il momento migliore sono gli ultimi 30-40 giorni dell’estate. I semi invece possono essere essiccati, e questo permette una loro conservazione anche per lungo tempo. Questi hanno davvero molteplici applicazioni, e conferiscono un tocco particolare ai prodotti a cui vengono abbinati. Per esempio possono essere uniti a insaccati, come nel caso della famosa finocchiona toscana, ma anche a formaggi, per renderli più aromatici e gustosi. Ma è possibile inserirli anche in primi piatti, sia in minestre che in sughi o ragù, anche se, come detto, il finocchietto selvatico viene utilizzato maggiormente per secondi a base di pesce e carne.
Tuttavia, anche chi ha un forno, o chi ha la possibilità nel proprio ristorante di produrre biscotti o alimenti da forno, può trovare nel finocchietto selvatico un aiuto per offrire ai propri clienti una gustosa alternativa (per esempio al posto dei classici taralli, presentare una versione aromatizzata con i semi della pianta).
Se poi si vuole puntare a qualcosa di veramente particolare da presentare ai clienti a fine pasto, si può pensare di far macerare le foglie nell’alcol puro, ottenendo così un liquore aromatico (che sarebbe certamente una novità per molti dei clienti).
Sicuramente, per chi lavora nella ristorazione è più vantaggioso coltivarla autonomamente piuttosto che andare a raccoglierla lungo campi o sentieri, per averne sempre a disposizione e non rischiare di rimanere senza. Bisogna però sempre ricordare che il finocchietto selvatico ha un fusto ramificato che può raggiungere anche i due metri di altezza. Calcolate quindi bene lo spazio prima di piantarla!