Il made in Italy è ormai da decenni un marchio ricercato in tutto il mondo, che rappresenta alti standard qualitativi e che include vari settori, tra cui ovviamente l’agroalimentare. Proprio in questo senso, difendere i prodotti italiani sostenendo le produzioni nei vari territori del Paese è un obiettivo condiviso a livello tanto politico che economico. Il sistema delle denominazioni nasce con l’intento di sostenere, incentivare e difendere le produzioni territoriali di qualità.
Analizziamo nel dettaglio le varie sigle DOP, IGP, STG, ma anche quelle riferite più in particolare ai vini come DOC, DOCG, IGT. Quali sono i criteri di assegnazione e le differenze, e quali le procedure per ottenerle?
DOP, IGP, STG: cosa significano le varie sigle
Quando si parla dell’Italia come di un Paese unico, spesso si fa della retorica. Non è questo però il caso se ci riferiamo all’ambito agroalimentare: ogni Regione italiana ha mediamente più di 40 denominazioni riconosciute dal MiPAAF, il quale mette a disposizione una pagina online per scoprirle in maniera veloce, con la possibilità di filtrare per prodotto, Regione e Provincia.
Ma cosa significano le varie sigle?
Partiamo prima con l’analizzare i prodotti DOP, IGP e STG.
Il marchio DOP
Con l’acronimo DOP si indica la Denominazione di Origine Protetta, una delle sigle più conosciute e utilizzate, riconosciuta in maniera ufficiale anche a livello europeo. La sigla fa riferimento a un prodotto la cui origine è strettamente legata a un territorio preciso, che sia una regione o un Paese, le cui caratteristiche ambientali, climatiche, ma anche umane (come le tecniche di produzione tradizionali) influiscono sul prodotto, determinandone la sua unicità. Un prodotto DOP è quindi inimitabile al di fuori della propria e caratteristica zona di produzione. Tutti i passaggi, dalla produzione alla trasformazione fino all’elaborazione finale del prodotto, devono perciò avvenire in una regione geografica ben circoscritta.
I prodotti DOP registrati sono attualmente 170 agroalimentari e 408 vini, per un totale di 578: grazie al marchio DOP, vengono tutelati non solo in Europa, ma in tutto il mondo, grazie agli accordi stipulati dal WTO. Tra questi, i più famosi sono il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma, la Mozzarella di bufala campana.
I prodotti DOP sono individuabili dalla presenza di un bollino giallo-rosso con su scritto appunto «Denominazione di Origine Protetta».
Il marchio IGP
Anche la sigla IGP, Indicazione Geografica Protetta, fa riferimento a prodotti le cui caratteristiche sono strettamente legate a un territorio geografico ben definito. Rispetto al marchio DOP, per ottenere la denominazione IGP è sufficiente che solo una delle fasi tra quella di produzione, trasformazione ed elaborazione del prodotto si svolga nella zona geografica delimitata. Come il marchio DOP, anche quello IGP è riconosciuto a livello europeo.
I prodotti a marchio IGP sono individuabili grazie a un bollino giallo e blu. I più famosi sono l’aceto balsamico di Modena, la mortadella di Bologna, la bresaola della Valtellina.
Insieme a quelle DOP, rientrano quindi tra le produzioni pregiate.
Il marchio STG
Con STG indichiamo una Specialità Tradizionale Garantita. L’assegnazione del marchio è regolamentata a livello europeo dal Regolamento (UE) n. 1151/2012. A differenza delle precedenti sigle, in questo caso la discriminante non è la territorialità o l’origine di un prodotto: a rendere questi prodotti unici e non comparabili sono la tradizione, la qualità delle materie prime, la tipicità della ricetta o un particolare metodo di produzione considerato tradizionale, ossia che esiste da almeno trent’anni.
Attualmente in Italia sono riconosciuti tre prodotti STG: la pizza napoletana, la mozzarella e l’amatriciana tradizionale.
Uno sguardo in più sui vini: DOC, DOCG e IGT
L’Italia ha una grande tradizione vinicola, e il settore è uno dei più importanti non solo a livello agroalimentare. Anche quest’anno, nonostante una flessione, sono stati prodotti milioni di ettolitri che finiranno nelle nostre case o nei ristoranti. Nella scelta, ci possiamo aiutare con alcune sigle riportate sulle etichette. Vediamo cosa significano.
I prodotti con il marchio DOC, ossia Denominazione di Origine Controllata, rientrano nella denominazione DOP. Quella DOC è stata la prima certificazione esistente, risalente agli anni Sessanta del Novecento, ma ormai viene utilizzata in larga maggioranza per vini italiani la cui produzione avviene in una zona ben determinata e seguendo rigide norme ministeriali.
Sempre in base a una normativa europea (Reg. Ce 479/2008), anche la sigla DOCG, Denominazione di Origine Controllata e Garantita, rientra in quella DOP e si riferisce solo ai prodotti viticoli ritenuti di particolare pregio.
Rimanendo nell’ambito dei vini, un terzo marchio, utilizzato fino al 2010, è quello IGT, Indicazione Geografica Tipica, oggi ricompreso nell’IGP. L’assegnazione della sigla prevede che il vino abbia almeno l’85% di uve provenienti dall’area geografica in cui viene anche prodotto. Si tratta comunque di vincoli meno stringenti rispetto ai vini DOC, soprattutto rispetto all’area di riferimento, molto più vasta per gli IGT (a volte si tratta di insiemi di territori le cui caratteristiche siano abbastanza uniformi dal punto di vista ambientale). A un prodotto IGT non è consentito portare nomi di regioni o aree già utilizzate per denominazioni DOCG o DOC: a differenza di queste, non è obbligato a dichiarare né l’annata né il colore del vino.
Le altre sigle: PAT e BIO
Il marchio PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, viene usato solo in Italia, e indica prodotti tradizionali o molto particolari e ricercati, la cui diffusione è così limitata da non poter essere considerati DOP o IGP.
La sigla viene attribuita dalle Regioni Italiane per sostenere e valorizzare le proprie specialità. I requisiti devono essere metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura che seguano la tradizione (25 anni minimo di diffusione) e che siano omogenei su tutta la zona interessata. Alcuni prodotti sono il sanguinaccio, il prosciutto di pecora della Sardegna, lo speck dell’Alto Adige.
Con BIO, termine ormai molto diffuso in Italia, si indicano alimenti la cui produzione segue metodi biologici, quindi senza sostanze chimiche. Si tratta in questo caso di un riconoscimento a livello europeo assegnato per prodotti composti da almeno il 95% di ingredienti agricoli coltivati biologicamente e in modo rispettoso del sistema di controllo e certificazione nazionale. Dal 2012, il marchio BIO – indicato da una foglia stilizzata con dodici stelle bianche su un fondo verde chiaro – è utilizzabile anche per i vini.