La pastorizzazione della pasta fresca

In Europa, e anche nel nostro Paese, sono molte le norme che riguardano il settore alimentare.

Molto spesso si tratta di indicazioni che hanno come obiettivo finale quello di tutelare la salute dei consumatori e allo stesso tempo di garantire alti livelli di qualità del prodotto.

La pastorizzazione rientra tra quei processi, che permettono di raggiungere questo duplice risultato. Se parlando di pastorizzazione viene da pensare immediatamente a latte e uova, in realtà questo procedimento riguarda anche altri alimenti, come per esempio la pasta fresca.

Nell’articolo di oggi vedremo insieme cos’è la pastorizzazionecome funziona quella della pasta fresca, la normativa sul tema e infine ne analizzeremo i pro e i contro.

Cos’è la pastorizzazione

Se oggi possiamo avvalerci della pastorizzazione lo dobbiamo al chimico francese Louis Pasteur, che insieme al collega Claude Bernard sperimentò per la prima volta questo procedimento nella primavera del 1862.

Si tratta di un processo di risanamento termico che permette di eliminare dagli alimenti i microrganismi patogeni (le cellule vegetative, non quelle sotto forma di spora), tra cui l’Escherichia coli, quello maggiormente resistente al calore.

La pastorizzazione è infatti un processo che si basa sul riscaldamento di un alimento a una certa temperatura per un determinato intervallo di tempo. Inizialmente era stata adottata la combinazione 63 gradi per 30 minuti, poi sostituita con un’altra che consentiva di non danneggiare troppo il valore nutritivo dell’alimento.

La pastorizzazione è meno sicura della sterilizzazione, perché, come detto, non elimina tutti i batteri, e questo fa sì che un prodotto pastorizzato possa essere conservato per un tempo limitato. Tuttavia, la sua introduzione è stata uno dei grandi progressi della scienza, impattando positivamente sullo stato di salute delle persone.

Si pensi che nell’Inghilterra di fine Ottocento, con la diffusione della pastorizzazione del latte vaccino (insieme ad altre innovazioni), in un solo anno si registrò un dimezzamento della mortalità di neonati e ragazzi. Nel nostro Paese la pastorizzazione del latte fu introdotta per Regio Decreto nel 1929.

Nonostante la sua insindacabile importanza a livello di sicurezza alimentare, la pastorizzazione non viene utilizzata su larga scala e per tutti gli alimenti, perché rimane comunque un processo che potrebbe alterare il gusto dei cibi. Viene quindi sfruttata soltanto per alcuni determinati alimenti, come:

  • Latte
  • Vino
  • Birra
  • Succhi di frutta
  • Pasta fresca

Sono questi alimenti che se pastorizzati non perdono molto a livello di qualità, permettendo a commercianti e gestori di attività di ristorazione di presentare ai propri clienti un prodotto che sia allo stesso tempo sicuro e buono.

Nei prossimi passaggi ci concentreremo sulla pastorizzazione della pasta fresca, su come funziona, sugli obblighi di legge, e infine sui pro e contro di utilizzare questo procedimento chimico.

La pastorizzazione della pasta fresca: processo e normativa

Esistono tre tipologie differenti di pastorizzazione, che variano per temperatura e durata del processo. 

  • Pastorizzazione bassa: in questo caso l’alimento viene esposto per circa 30 minuti a una temperatura mantenuta intorno ai 60-65 gradi. Questa modalità viene utilizzata in particolare per vino e birra.
  • Pastorizzazione alta: questa tipologia richiede tempi molto più ristretti, circa 10-15 secondi, e temperature più alte, tra i 75° e gli 85°, e viene applicata su prodotti che presentano una bassa acidità, come il latte e i suoi derivati.
  • Pastorizzazione rapida o HTST (High Temperature Short Time). Questa modalità riguarda proprio la pasta fresca, e prevede che la temperatura del prodotto sia mantenuta tra gli 87 e i 110 gradi per un tempo breve, 15/20 secondi.

Come spiegato precedentemente, anche per la pasta fresca l’obiettivo di chi utilizza la pastorizzazione è quello di sanificare il prodotto mantenendo intatte le caratteristiche organolettiche

L’Italia è un Paese che fa della pasta la regina della sua tradizione culinaria, lavorata e cucinata in centinaia di modi e formati diversi. L’industria alimentare sta ormai da tempo attingendo sempre più a trattamenti termici che permettano di mantenere alta la qualità di un alimento e allungarne il tempo di conservazione.

Questo vale sia per i grandi marchi e per la produzione su larga scala, con una commercializzazione ad ampio raggio sul mercato nazionale ed estero, sia i laboratori di produzione artigianale, che spesso hanno una clientela limitata localmente, ma che sono spesso dei punti di riferimento non solo per i consumatori, ma anche per i ristoratori. La pastorizzazione permette a entrambi di produrre pasta in quantità maggiore rispetto a quella “freschissima”, ossia quella che non viene trattata. Se utilizzata correttamente, si otterrà una pasta con tempi di conservazione più lunghi e migliore dal punto di vista della sicurezza del cliente.

Certamente non si tratta di un’operazione semplice e da effettuare con imperizia, perché una pastorizzazione spinta otterrebbe sì la sanificazione dell’alimento, ma potrebbe comportarne un degradamento delle proprietà.

Al contrario, una troppo blanda, in cui non siano stati eliminati i microrganismi patogeni, comporterebbe una diminuzione del tempo di conservazione. Sebbene la pastorizzazione abbia quindi pro e contro, e possa incontrare ancora resistenze, chi lavora nel settore della ristorazione e utilizza pasta fresca non può esimersi da proporre prodotti pastorizzati: la normativa italiana infatti prevede l’obbligo di pastorizzazione della pasta fresca.

Per rifarsi a un documento ufficiale è necessario tornare indietro a quasi quarant’anni fa, al C.M. 3 agosto 1985, n.32 del Ministero della Sanità, nel quale vengono indicati alcuni valori di riferimento da rispettare. Bisogna però sottolineare come in realtà non esista nessuna legge, decreto o ordinanza che stabilisca precisamente quando la pasta fresca sia contaminata microbiologicamente.

Pasta fresca pastorizzata: pro e contro

La pastorizzazione della pasta fresca quindi conviene oppure no? Sebbene possa comportare dei rischi rispetto alla qualità finale del prodotto, pastorizzare la pasta fresca ha anche dei vantaggi non indifferenti. 

In primo luogo, permette di ottimizzare i tempi di lavoro. Un ristorante che contempla nel suo menu piatti di pasta fresca (magari anche in vari formati) può in questo modo avere sempre a disposizione della pasta fresca per i propri clienti, riducendo quindi la frequenza di produzione e aumentando la velocità della preparazione della linea e del servizio.

In secondo luogo, la pastorizzazione della pasta fresca fa sì che si possa anticipare la produzione nei periodi di maggior afflusso di clienti, come i fine settimana, o le festività (Natale, Capodanno, Pasqua), o le vacanze estive per chi ha un’attività nelle località di mare. Se normalmente la pasta freschissima può essere conservata per circa quattro o cinque giorni, i tempi si allungano per quella pastorizzata, arrivando anche a due settimane.

Se vuole sfruttare la pastorizzazione per migliorare le performance della propria attività, un ristoratore ha due strade da percorrere: comprare direttamente dal pastificio il prodotto finito, oppure produrlo autonomamente e poi pastorizzarlo, acquistando appositi macchinari, i pastorizzatori, che possono essere a vapore (a gas) oppure a cestelli (ossia elettrici). In quest’ultimo caso, il ristorante può presentare ai propri clienti un prodotto già pronto e confezionato da acquistare al banco o alla cassa. Un ottimo modo per aumentare le entrate.

L’importante è sempre far capire al cliente che la pastorizzazione della pasta va incontro alle sue esigenze: sia quelle di sicurezza, offrendo un prodotto sanificato, sia quelle relative alla qualità, con un alimento che mantiene proprietà e sapore, da poter conservare e gustare con calma.

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