Quando si va al ristorante e arriva l’ora di pagare il conto uno degli aspetti più discussi tra i clienti è sicuramente la voce del coperto – o servizio – che si aggiunge a ciò che si è consumato durante il pranzo o la cena.
Il dibattito sull’opportunità di far pagare un sovrapprezzo ai clienti legato al servizio del personale e della struttura è in voga da moltissimo tempo così come la cifra massima da inserire nel conto del ristorante.
Su questo punto, mai veramente risolto, proveremo a fare chiarezza andando a vedere cosa dice la legislazione vigente in materia e a fare un confronto con gli altri paesi, non senza tracciare un piccolo excursus su come è nata questa usanza molti anni fa.
Che cos’è il “coperto” di un ristorante da pagare nel conto
Il momento meno piacevole di un’esperienza al ristorante, si sa, è quello dell’inevitabile conto da pagare. Succede quasi sempre, però, che la cifra da spendere per una cena romantica o con i propri amici venga resa ancora più consistente dalla voce del “coperto”, o “servizio” o “pane e coperto”, che va ad aggiungersi ai piatti e alle bevande che sono state ordinate e consumate al tavolo.
Ma cosa comprende, nello specifico, questa voce? All’interno del coperto viene collocato in modo forfettario la spesa, da parte della struttura, che generalmente è prevista per il servizio del pane e di tutti quegli elementi al di fuori dei cibi che vengono ordinati dai clienti come l’utilizzo di piatti, posate, bicchieri e tovaglioli.
Non solo, il coperto può riferirsi anche a servizi o caratteristiche particolari del ristorante: nel primo caso si intende la pulizia del locale o il lavaggio del tovagliolo di stoffa mentre nel secondo alcuni esercenti possono considerare il prestigio della location (ad esempio con una vista panoramica), la posizione vantaggiosa della stessa o l’alta professionalità del personale qualificato.
Insomma, con il coperto vengono indicate tutte quelle spese extra che non possono essere quantificabili in modo oggettivo nel conto finale del ristorante. Per questo una simile voce fa spesso storcere la bocca a più di un cliente che si ritrova a dover pagare un sovrapprezzo difficilmente calcolabile e che va a pesare ulteriormente sulle sue tasche.
Inoltre, bisogna tenere a mente che il coperto si distingue dalla mancia nonostante qualcuno possa confondere le due cose. E ci sono alcuni ristoranti che scelgono di non presentare il costo del coperto nel conto proprio perché tale aspetto potrebbe scoraggiare poi i clienti a versare la classica mancia al personale.
Se il coperto è inserito come vera e propria voce nel conto, e quindi soggetta a tassazione, la mancia rappresenta invece una donazione spontanea fatta dal cliente che non si trova nella fattura ed è un guadagno per il ristorante che sfugge a qualunque tipo di adempimento fiscale.
Pane e coperto: quali regole
Ok, il coperto rappresenta un costo forfettario per le spese sostenute dal ristorante in merito ad attrezzatura e servizi per la clientela non quantificabili nel conto. Ma quali sono le regole della voce “pane e coperto” e, soprattutto, è legale imporre tale sovrapprezzo? È una domanda che in molti si saranno fatti almeno una volta.
La cifra richiesta per questa voce in realtà è spesso molto bassa: generalmente varia da 1 a 3 euro per i ristoranti di fascia media ma può arrivare anche a 5 euro per quelli più “prestigiosi”.
Riguardo alla legittimità di questa pratica bisogna ricordare che non esiste alcuna normativa in Italia quindi non si tratta di una pratica vietata; questa rimane a discrezione del ristoratore. Ciononostante, le strutture sono tenute a specificare l’eventuale costo del coperto all’interno del proprio listino prezzi; il cliente, quindi, deve essere messo al corrente da subito della presenza di un sovrapprezzo da pagare per il servizio.
A tal proposito è l’art. 180 TULPS, regio decreto n.635/1940 a imporre ai pubblici esercenti l’esposizione della licenza, dell’autorizzazione e della tariffa dei prezzi all’interno del locale in un luogo che sia ben visibile al pubblico.
A livello locale la normativa offre maggiori sfumature: come precisa lo Studio Cataldi, a Roma è stata emessa un’ordinanza del sindaco nel 1995 con cui si vietava di imporre la voce relativa al coperto nel menu ma consentiva di applicare quelle relative a “pane” e “servizio”. Estendendo il discorso al Lazio una legge regionale del 2006 ha vietato di applicare costi aggiuntivi per il coperto ma molti ristoratori ancora oggi non rispettano le regole. Anche altre regioni hanno provato a portare avanti la linea del Lazio sulla spinta di alcune associazioni di categoria favorevoli all’iniziativa ma anche in questo caso le strutture non sembrano adempiere a tali richieste inserendo spesso voci equivoche nel conto.
Negli anni non sono mancate diverse iniziative da associazioni e gruppi di esercenti per contrastare e far rimuovere questa prassi di far pagare il coperto ai clienti. Nel 2017, ad esempio, si era diffusa l’ipotesi di emissione di un decreto “contro-coperto” poi finita nel nulla.
Si può avere un’idea della specificità della voce del coperto se si pensa che si tratta di una prassi tipicamente italiana: questa usanza, infatti, non è presente in molti altri paesi europei e rappresenta un motivo di sorpresa per molti turisti che sono in visita nelle nostre città.
L’usanza del coperto alle origini
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la prassi da parte dei locali di far pagare il coperto ai clienti non è una novità degli ultimi decenni ma risale addirittura all’antichità.
Più precisamente il ricorso a questa usanza ebbe inizio nel Medioevo quando le tipiche locande decisero di imporre questa sorta di piccola tassa agli avventori che sostavano presso le strutture per trovare riparo dal freddo: da qui la nascita del “coperto” da pagare.
I viandanti, qualora non consumassero alcuna porzione di cibo venduta dal locale, pagavano per restare seduti al caldo e consumare il cibo che portavano con sé in attesa di rimettersi in marcia; non erano invece tenuti a pagare alcun coperto qualora essi avessero ordinato da mangiare e bere all’interno del locale, in quel caso il servizio era già incluso.
Agli inizi del Novecento questa pratica ha assunto i contorni di come la conosciamo oggi. In quel periodo era frequente che molti passanti si fermassero nelle osterie con il fagotto portando cibi preparati in casa e consumando solo vino.
Fu una tendenza generalmente accettata dai ristoratori, consapevoli che il ristorante fosse nelle disponibilità solo delle classi sociali più elevate e che fosse normale l’indigenza di molti; fino a quando qualche gestore non ne ebbe abbastanza della sporcizia seminata dagli avventori pur consumando poco o nulla e per questo motivo venne deciso di introdurre il concetto di “coperto” con un’accezione più simile a come lo intendiamo oggi.
Il prezzo del coperto finì per includere l’acqua e il pane e i ristoratori cercavano di guadagnare quantomeno con la mescita del vino.