Il kosher: scopriamo il significato del termine e la cultura a esso legata

Chi si vuole interfacciare con la cucina del mondo ebraico deve necessariamente conoscere il significato del termine kosher (“idoneo”).

In ambito culinario, kosher si riferisce a tutto ciò che può essere mangiato da un ebreo che segue i dettami della Torah, riferimento centrale della religione ebraica. 

Si tratta di un modo antico di cucinare e assumere bevande che resiste ancora oggi, dopo migliaia di anni: per seguire questo metodo va rispettato un insieme di regole. Il significato letterale della parola kosher è “conforme”, “adatto” alla legge, ed è garanzia di qualità, genuinità e purezza, ormai anche indipendentemente dalla religione.

Le regole riguardano soprattutto gli animali ammessi e il vino.

Per riconoscere un prodotto consentito dall’insieme di regole kosher è nata un’apposita certificazione che permette l’immediata identificazione di cosa può essere consumato e cosa no. Nei successivi paragrafi vedremo anche come il mercato dei prodotti kosher è in continua espansione negli ultimi anni.

Le regole kosher

I dettami principali del kosher derivano dalla Torah, la prima parte della bibbia ebraica (i primi 5 libri, nello specifico, quello che per i cristiani è il Pentateuco), il più importante riferimento della cultura ebraica.

Queste regole indirizzano da oltre tremila anni la cultura alimentare degli ebrei ortodossi con particolare attenzione, tra le altre, a quali animali possono essere mangiati, a come deve essere prodotto il vino affinché possa essere presente nelle tavole o a quali abbinamenti vanno evitati nei pasti.

Adottare le regole kosher seguendo le indicazioni della Torah va oltre l’ambito prettamente culinario ma significa anche alimentare la propria spiritualità; questi dettami indicano anche la corretta modalità di macellazione degli animali. 

Vietato l’utilizzo di carne e latticini nello stesso pasto – Una delle regole kosher più importanti è quella che vieta di mischiare carne con latticini durante lo stesso pasto (tra i due alimenti deve intercorrere un periodo minimo di sei ore).

Si tratta di un dettame che proviene da diversi passi della bibbia ebraica nei quali si raccomanda di non cuocere “il capretto nel latte di sua madre”: da qui la regola generale di evitare il consumo di carne insieme al latte o prodotti derivati (come ad esempio il burro). Non solo, il divieto di affiancare carne di qualsiasi animale e prodotti caseari coinvolge anche l’uso degli utensili che non dovranno mai mischiarsi tra loro: nelle cucine che seguono i dettami kosher, infatti, sono presenti generalmente due set distinti che vengono impiegati l’uno per la carne e l’altro per i latticini.

Animali puri e impuri – Riguardo alla carne degli animali esistono molte altre indicazioni da seguire. Non tutti gli animali possono finire sulla tavola degli ebrei osservanti ma solo quelli definiti puri: in questa categoria rientrano tutte le specie ruminanti e che, al tempo stesso, presentino lo zoccolo fesso, ossia spaccato in due parti (tra questi la mucca, la capra, il vitello e la pecora mentre tra i volatili rientrano il pollo, le oche, le anatre e il tacchino). Basta non avere anche una sola delle caratteristiche sopra citate per essere considerati un animale impuro, e quindi non idoneo ad essere consumato a tavola (tra questi il coniglio, il maiale o il cavallo). 

Il rituale della Shechita – Per il consumo della carne è necessario seguire principi ben precisi in merito alle modalità di macellazione degli animali, nota col termine di Shechita. Il rituale deve essere compiuto da un Rabbino specializzato (“Shochet”), dotato della licenza fornita dalla Comunità Ebraica per poter svolgere tale pratica.

Nello specifico, il Rabbino deve assicurarsi che l’uccisione dell’animale avvenga con un solo taglio alla gola per mezzo di un coltello affilatissimo e senza alcun difetto o sgraffio sulla lama così che ne provochi l’immediata morte e il completo dissanguamento. Segue la fase denominata bediqat durante la quale vengono controllati gli organi interni dell’animale assicurandosi dell’assenza di difetti o di tracce di malattie che altrimenti renderebbero l’animale impuro. 

Pesci – Per permetterne l’uso a tavola i pesci devono essere necessariamente forniti di pinne e squame: tra i più comuni rientrano trota, nasello, merluzzo, sogliola, branzino, orata, sardina, acciuga, tonno, sgombro, cefalo, triglia, dentice, cernia, carpa, aringa, luccio, pesce persico, marmora, muggine, pesce sanpietro, salmone, spigola e platessa. Tra i pesci non permessi rientrano i crostacei, considerati impuri. Una regola da seguire è di chiedere sempre al pescivendolo di lavare il coltello e il ripiano di lavoro prima dell’uso per evitare contaminazioni che rendano impuro il pesce. 

Divieto di consumare sangue e alcune parti dell’animale – Secondo le regole kosher è vietato il consumo del sangue dell’animale in quanto ne rappresenta la vitalità; il divieto vale sia per il sangue nei quadrupedi che nei volatili e anche nelle uova. Tra le parti che non devono essere interessate dal consumo ce ne sono alcune di grasso, il nervo sciatico ed anche quelle tratte da animali vivi

I dettami per il consumo di vino

Il vino, nella cucina kosher, fa parte del rito religioso e si beve solitamente il sabato e in occasione delle festività. Proprio la sua forte connotazione simbolica e religiosa lo rende un prodotto al centro di un rigoroso processo di controllo sotto la responsabilità del rabbino competente (il cui nome deve apparire nell’etichetta).

Sarà quindi un ebreo osservante a dover occuparsi di ogni operazione manuale come il collegamento dei tubi necessari e l’azionamento di pompe, valvole e raccordi su indicazioni del tecnico di cantina. L’ebreo osservante agirà in prima persona nelle fasi iniziali della produzione fino a quando bucce e semi non vengono portati in distilleria dopo aver bollito l’impianto: in questa fase si origina tutto ciò che viene considerato “mevushal – vino cotto” e, di conseguenza, da questo momento in poi ogni operatore presente può mettere mano al materiale prodotto. Il rabbino dovrà poi presenziare ad ogni travaso effettuato. 

La certificazione per i prodotti industriali

Con il tempo, si è reso sempre più necessario stabilire una certificazione per i prodotti che rispettano i parametri kosher: ciò è dovuto dal fatto che con i ritmi sempre più frenetici della vita quotidiana non è sempre semplice poter preparare cibi seguendo rigorosamente le regole kosher.

Da qui il lancio di una certificazione per prodotti di pronto utilizzo, rilasciata da apposite associazioni rabbiniche. Il conferimento del certificato è sottoposto al rispetto di rigide regole, dal processo di produzione e confezionamento alla presenza di determinati ingredienti. 

Le severe norme che consentono il rilascio del certificato kosher hanno permesso di raggiungere una garanzia di determinati standard di qualità e purezza, indipendentemente dalla religione.

Il mercato kosher in continua espansione

Il mercato dei prodotti kosher è in costante crescita come testimoniato dai dati: dal 2016 le vendite sono aumentate del 7,8%, fino a raggiungere negli ultimi tempi quote di incremento annuale pari al 12%. 

Le aree maggiormente interessate dal mercato sono in primis gli Stati Uniti – dove si stima che circa il 40% di tutti i cibi in circolazione siano prodotti kosher – ma anche Israele e nord-est Europa. In Italia il business è in notevole ascesa soprattutto a Milano dove è forte la presenza della comunità ebraica. A conferma che i prodotti kosher non sono usati soltanto dalla popolazione ebraica, i consumatori medi di questa cucina sono anche musulmani, vegani e vegetariani. A questi si aggiungono molte persone, alla ricerca di prodotti salutari e genuini, che proprio negli standard di qualità garantiti dalla cucina kosher trovano ciò che risponde alle loro esigenze.

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