Etichette Nutri-Score: è battaglia in Europa

Il sistema di etichettatura Nutri-Score, messo a punto in Francia per semplificare l’identificazione dei valori nutrizionali degli alimenti, ha provocato e continua a provocare forti reazioni in Italia, dove la maggioranza delle associazioni di categoria, della politica e dei produttori si dice contraria a uno strumento che penalizzerebbe il Made in Italy. Andiamo a capire bene di cosa si tratta e perché l’Italia è decisamente contraria.

Un sistema di etichettatura semplificato

Come abbiamo detto, il sistema di etichettatura Nutri-Score è nato in Francia nel 2013. Ideato dall’EREN, un gruppo di ricerca legato alla Sorbonne Université, è stato pensato per facilitare la comprensione delle etichette alimentari da parte dei consumatori. L’etichetta, infatti, non è più il solito papiro di informazioni nutrizionali, spesso incomprensibili, che troviamo nel retro delle confezioni, ma è una sorta di semaforo a cinque colori – ognuno associato a una lettera dell’alfabeto e corrispondente a un valore nutrizionale riassuntivo dell’alimento.

Ad esempio, gli alimenti etichettati con la A (associata al colore verde scuro) sono alimenti generalmente sani, mentre quelli contrassegnati dalla E (associata al colore rosso) sono gli alimenti meno salubri e ricchi di grassi e sale; in mezzo, una scala di valori che va dal più al meno sano. L’algoritmo che associa il valore agli alimenti varia a seconda dell’alimento considerato e tiene conto di macro-categorie di appartenenza: esistono infatti algoritmi diversi per le bevande, per i formaggi, per gli oli e per molti altri alimenti.

Ora, questo sistema di etichettatura francese è stato proposto in ambito europeo nel perimetro della Farm to Fork Strategy, una strategia volta a far diffondere il più possibile sistemi alimentari sani e sostenibili. Il percorso rientrerebbe in un progetto condiviso a livello comunitario che propone l’obbligo di adeguamento entro la fine del 2022 in tutti i paesi dell’Unione.

Da qui lo scontro aperto non solo tra diversi tipi di etichettature ritenute maggiormente idonee, ma tra due diversi modi di considerare il valore nutrizionale degli alimenti. L’uno, quello del Nutri-score, incentrato sulla massima comprensione del consumatore e su una informazione isolata all’alimento singolo preso in esame; l’altro, difeso dall’Italia, che tiene conto dei valori nutrizionali dell’alimento in relazione a una dieta più generale. Ma andiamo a capire meglio quali sono le due diverse proposte e in cosa differiscono. 

Nutri-score: le posizioni dei favorevoli 

In Francia il fronte dei sostenitori del Nutri-Score è ampio. Una buona parte delle associazioni scientifiche, degli scienziati e dei nutrizionisti è fortemente schierata con il “semaforo”, ritenendolo un metodo semplice e intuitivo per permettere la diffusione più ampia possibile di buone pratiche alimentari.

Sul quotidiano Le Monde, tra i più autorevoli del paese, sono state raccolte in pochi giorni le firme di oltre novecento scienziati, docenti universitari e medici, tutti assolutamente favorevoli al sistema di etichettatura e indignati dalle continue polemiche di chi mette in discussione uno strumento rodato ed efficace. La Società di Epatologia Francese (Afef), la Società della Salute Pubblica (Sfsp) e altre 40 tra associazioni sanitarie e scientifiche hanno dichiarato di sostenere il Nutri-score, che lentamente si sta diffondendo in molti paesi dell’Unione (Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania e Belgio).

In Italia, dove la maggioranza delle categorie produttive si dice contraria, esiste però un fronte di sostegno che va da autorevoli scienziati come Walter Riccardi (consigliere del ministro della Salute italiano) e Silvio Garattini (presidente e fondatore dell’istituto Mario Negri) ad associazioni come Altroconsumo e Il Fatto Alimentare. Il già citato Silvio Garattini – con l’appoggio di altri autorevoli scienziati come Elio Riboli, Giuseppe Remuzzi, Paolo Vineis e Mauro Serafini – continua a ribadire che il valore del sistema di etichettatura andrebbe riconosciuto al di là delle strumentali polemiche politiche e degli interessi lobbistici. Secondo questa prospettiva, per cui gli elementi a favore del Nutri-Score sono difficilmente negabili, l’Italia starebbe facendo il possibile per ostacolare l’adozione di un metodo sostanzialmente giusto, ma con pochissime probabilità di successo.

Il fronte contrario e la proposta italiana 

Contro il sistema alla francese, in Italia si è schierato un vasto insieme di istituzioni, che va dalle associazioni dei produttori alla politica (Governo compreso). Secondo loro, il modello Nutri-Score rappresenterebbe un imponente danno per la filiera agroalimentare del Paese, e comporterebbe seri danni all’esportazione del Made in Italy nel mondo. La ragione sarebbe la classificazione C, D o addirittura E di alcuni famosi prodotti tipici della cucina mediterranea come salumi, insaccati, Parmigiano Reggiano e olio extra vergine d’oliva, in cui il Nutri-Score individua un alto contenuto di grassi saturi e sale. Il sistema a semaforo, che assegnerebbe così il “rosso” ad alcune tra le più rinomate prelibatezze italiane, non terrebbe inoltre conto delle quantità di consumo degli alimenti: non prendendo in considerazione la cosiddetta porzione, l’etichetta risulterebbe ingannevole perché non inserisce l’alimento all’interno di una più ampia concezione della dieta necessaria al fabbisogno giornaliero alimentare.

L’Italia ha quindi proposto un sistema alternativo detto NutrInform, che non valuta i cibi singolarmente ma si concentra perlopiù sul loro valore d’incidenza all’interno di una dieta completa. L’etichetta all’italiana è pensata come una batteria che indica tutti i valori nutrizionali dell’alimento relativi alla porzione consigliata: in pratica sono presenti i dati che indicano le percentuali di energia, zuccheri, grassi e sale sotto forma di percentuali di riempimento di batterie, che non devono superare la soglia del 100% di assunzione giornaliera. L’obiettivo è quindi quello di proporre un metodo alternativo, più complesso ma anche più informativo, che permetta di combattere l’insorgenza di malattie legate alla scorretta abitudine alimentare, senza però demonizzare alimenti storici del territorio, dividendo aprioristicamente il mercato in cibi buoni e cibi cattivi. Favorevoli al progetto NutrInform si sono detti autorevoli scienziati italiani, ministeri preposti, filiera agroalimentare e politica.

Come abbiamo detto, il motivo principale che spinge l’Italia a rifiutare la proposta francese ed europea è anche di ordine economico. Secondo stime di Coldiretti e Federalimentare sarebbe infatti a rischio una percentuale di export agroalimentare che sfiora il 20%. L’Italia, già impegnata in Europa in battaglie di riconoscimento territoriale come quella del Prosek, sta combattendo su vari fronti per impedire quella che a detta di molti è una tendenza generalizzata, guidata dalle multinazionali, che indurrebbe all’omologazione alimentare i consumatori del mondo: la creazione di una sorta di dieta universale stabilita dall’alto e che vede nella carne da laboratorio (quindi sintetica) l’apice del progetto. Lo stesso Governo italiano, incarnato dal premier Mario Draghi, è intenzionato a prolungare il confronto a sostegno delle specialità enogastronomiche del Paese. La strada per la difesa dei prodotti tipici è però ancora lunga, e non sarà facile soddisfare le richieste di tutte le categorie di settore.

La battaglia continua

Sappiamo bene che quando si parla di cibo, soprattutto in Italia ma nell’Europa tutta, gli animi spesso si surriscaldano. In Europa lo scontro è ancora aperto e il Bel Paese è pronto a dare battaglia fino all’ultimo. A rischio, i piatti tradizionali del nostro territorio: conseguenza per molti inaccettabile. Secondo altri, la salute è un bene che va tutelato a scapito perfino dell’economia, se necessario (la pandemia degli ultimi anni insegna). L’ultima parola spetterà però alle istituzioni europee: attendiamo speranzosi una conciliazione che riesca a soddisfare entrambe le necessità – entrambe, sottolineiamo, degne di rispetto.

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