L’olio extravergine d’oliva è uno dei patrimoni della cucina mediterranea e un caposaldo delle nostre abitudini culinarie, eppure la sua qualità da tempo è messa a forte rischio per diversi motivi. Questa situazione è dovuta a diversi fattori che si riflettono in fase di produzione ma anche dovuti ai cambiamenti climatici e alla incessante corsa dell’inflazione.
La precaria qualità dell’olio evo presenta anche rischi per la salute a causa delle contaminazioni. Ed è per tutti questi motivi che sempre più spesso i test previsti per esaminare la qualità dell’olio rilevano anomalie o valori non in linea con quanto dichiarato dalle case produttrici.
Quella della qualità dell’olio evo è una situazione di particolare importanza destinata a richiamare su di sé una sempre maggiore attenzione.
Le regole per l’olio evo e il problema del contenimento dei costi
L’olio extravergine d’oliva è un prodotto che non deve mai mancare nell’offerta delle catene dei supermercati e non deve essere commercializzato a prezzi alti: si tratta di una regola a cui sono soggette diverse catene e ciò rischia di portare conseguenze in fase di produzione.
Gli addetti all’imbottigliamento dell’olio, infatti, si trovano costretti a creare miscele di olio evo che dopo alcuni mesi perdono la loro qualità presentando aromi e sapori non previsti dalla produzione originaria e comportando, di conseguenza, la derubricazione a olio vergine.
Questa è una tendenza sempre più frequente come rilevato dalla maggior parte dei test ufficiali effettuati sulla qualità dell’olio negli ultimi anni.
Ciò avviene perché le catene della grande distribuzione cercano oleifici che sono disposti a confezionare olio evo con il proprio marchio da mettere poi in commercio con prezzi assai economici.
Molte aziende, quindi, cercano di rientrare nei parametri di prezzo ricorrendo a simili procedure che però hanno ripercussioni sulla qualità del prodotto. I test confermano questo approccio e la maggior parte di essi hanno evidenziato proprietà che non corrispondono ai valori sufficienti di un olio extravergine.
A ribadire questa tendenza è stata anche la rivista Il Salvagente, specializzata nei test di laboratorio per la tutela dei consumatori, che ha condotto 20 test nel 2023 sugli oli extravergine d’oliva destinati agli scaffali dei supermercati bocciandone 11 (il rapporto fu di 7 su 15 nel 2021 e di 9 su 20 nel 2015).
Se a volte i test di laboratorio possono rilevare i valori richiesti per consentire agli oli di essere considerati extravergine, ciò è ancora più difficile nei successivi test organolettici.
La prova organolettica è un punto molto critico che per legge un extravergine è tenuto a superare ed è necessaria poiché l’olio non deve avere difetti: dalle analisi chimiche, infatti, non si può rilevare un eventuale sapore di rancido, il gusto di riscaldo, di mosca o di muffa.
Dunque, anche quando i parametri chimici vengono rispettati non è detto che i problemi di sapore vengano evitati ma possono evidenziarsi dopo due o tre mesi dal confezionamento.
Come detto, la corsa dei prezzi al ribasso sugli scaffali dei supermercati non aiuta. Per l’olio extravergine viene richiesto un prezzo sempre economico rispetto ad altri prodotti e le aziende hanno sempre maggiori difficoltà a fronteggiare i costi della produzione.
Emblematico il caso del gennaio di quest’anno quando in Italia l’olio evo in diversi casi era ancora in offerta a 4,99€/L mentre in Spagna, nello stesso periodo, i prezzi nei supermercati si aggiravano intorno ai 6€.
Rincari e siccità: tempi sempre più duri per la qualità
Ad aggravare ulteriormente una situazione già degna di attenzione si sono aggiunte altre cause come l’aumento dei prezzi e dei costi delle materie prime ma anche le notizie non positive che continuano ad arrivare dai cambiamenti climatici.
Riguardo al primo aspetto non aiutano di certo i forti rincari che hanno riguardato carburante, elettricità e materie prime che abbiamo imparato a conoscere bene nel corso di tutto il 2022 a causa dell’aumento della domanda e delle vicende internazionali: tutto ciò ha impattato negativamente su gran parte delle imprese agricole contribuendo ad alimentare ulteriormente la corsa dell’inflazione sui beni alimentari da cui non è esente l’olio extravergine d’oliva.
Strettamente collegata alla questione dei rincari è sicuramente la terribile ondata di siccità che ha contrassegnato l’ultima stagione estiva e non solo. Questa ha avuto ripercussioni negative sulla fioritura degli ulivi che ne è uscita fortemente danneggiata così come le gemme, in particolar modo in quelle zone dove è stato complicato intervenire con le irrigazioni di soccorso per dissetare e rinfrescare le piante.
Come spiegato da Coldiretti i costi “sono aumentati in media del 50% per questo tipo di imprese: a pesare in particolare i prezzi ormai sconsiderati di concimi (+170%) e gasolio (+129%), ma anche dei materiali necessari per la trasformazione e il confezionamento del prodotto come plastica (+70%), barattoli di banda stagnata (+60%) e cartone (+45%). I prezzi dell’elettricità, inoltre, sono quintuplicati per tutti – comprese aziende agricoli, frantoi e relativo indotto”. Un quadro che rende bene l’idea delle prospettive non proprio rosee in cui versa l’olio evo italiano.
I rischi per la salute
Un olio extravergine d’oliva che non rispetta i parametri di qualità richiesti può comportare anche rischi per la salute.
Uno dei maggiori problemi per l’olio evo in fase di analisi risulta essere la contaminazione.
Secondo il regolamento europeo CE 315/93 per “contaminante” si intende “ogni sostanza non aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari, ma in essi presente quale residuo della produzione (compresi i trattamenti applicati alle colture e al bestiame e nella prassi della medicina veterinaria), della fabbricazione, della trasformazione, della preparazione, del trattamento, del condizionamento, dell’imballaggio, del trasporto o dello stoccaggio di tali prodotti, o in seguito alla contaminazione dovuta all’ambiente”.
Un test della rivista specializzata Okotest nel 2019 aveva rilevato 19 prodotti contaminati da oli minerali o plastificanti su 20 totali. I test organolettici successivi alle analisi chimiche erano stati affidati a un panel riconosciuto dal Consiglio Oleico Internazionale.
Inoltre, 9 di questi oli sono risultati fuorilegge a causa di difetti – come rancidità e odori sgradevoli – che i regolamenti europei rigorosamente vietano negli oli d’oliva designati come ‘extravergine’.
I rischi sulla salute di questi oli minerali, come i MOH (Mineral Oil Hydrocarbons), non sono da trascurare: i MOAH (Mineral Oil Aromatic Hydrocarbons) sono classificati come cancerogeni genotossici e possono quindi essere artefici di tumori in seguito all’induzione di mutazioni genetiche. I MOSH (Mineral Oil Saturated Hydrocarbons) possono invece accumularsi e provocare danni a vari tessuti e organi come fegato e milza, e linfonodi.
Come abbiamo visto, il connubio esplosivo costituito da fattori climatici, inflazione e difficoltà delle aziende a rientrare con i costi nei parametri del mercato si riflettono enormemente sulla qualità di uno dei pilastri della dieta mediterranea, testimoniato sempre più spesso dai test specifici condotti sia a livello nazionale che internazionale.